Una cronaca montana

2 novembre 2024.
Predarossa, Val Masino, Valtellina.
Giornata di sole splendente.
Il classico bel sole autunnale? Considerando che si toccheranno i trenta gradi a quasi duemila di quota: non so.
Al mattino si entra con la macchina dentro la valle.
Per salire in macchina fino all’inizio dei sentieri serve il pass, uno per macchina.
Presso il rifugio-ristorante che distribuisce i pass chiediamo: è una specie di numero chiuso? È per limitare l’impatto delle automobili sulla montagna?
Dicono: le autorità non si pronunciano.
Dicono che costa però 12 euro, e se non ce l’hai, multa di 170: qui le autorità mostrano già una precisione maggiore.
Chiediamo: e chi è che controlla, o applica le multe, su ai 1800 metri?
“Le guardie o i cacciatori”.

Saliamo con la macchina lungo decine di tornanti.
Il bosco misto cede al dominio dei larici.
Guadagnando ancora quota, il lariceto passa dalla scala dei gialli a quella del marrone.
Sono le 9, e lungo i tornanti si snoda un serpente di automobili.
È una fila decisa, insistente, di qualità simile alle code lavorative, ma c’è, in fondo, una vera differenza tra code, tra attese affollate? Esiste una differenza di atmosfera tra la coda chiassosa per il parcheggio prima di un grande concerto, la coda euforica per la prima mattina di vendita del nuovo Iphone, la coda livida al casello in un lunedì di pioggia prima di entrare in ufficio, la coda per la caletta a Torre dell’Orso, la coda per la seggiovia del passo Seceda?
Voglio dire: posto che l’umore di ogni singolo individuo nel sopportare l’attesa e nel tollerare la calca sarà molto diverso se attende di entrare al Circo Massimo per ascoltare David Gilmour o se, invece, sosta incolonnato sulla variante di valico dopo un incidente che blocca tutta l’A1, la domanda è: a livello collettivo, percepiamo differenza tra queste variazioni sul tema della calca umana? La coda di infradito e magliette color gelato alla frutta in attesa di salire agli Uffizi, o la coda sotto qualche sentiero dolomitico diventato virale grazie alle condivisioni e ai reels, o la coda che suggella il primo giorno di saldi estivi, emanano davvero vibrazioni diverse? Oppure rispecchiano solo lo stesso trionfo promozionale, un altro successo di marketing sistematico in grado di convogliare desideri simili in un simile circuito di spesa?
L’unica risposta che possiamo dare è che oggi, in una giornata di sole montano splendente, di questo serpente di automobili che risale con una fretta inspiegabile i tornanti, in spasmodica attesa di iniziare la camminata (l’esperienza?), facciamo parte anche noi.


Si arriva all’inizio dei sentieri: un grande spiazzo prima dello sbarramento naturale della brughiera.
Niente sbarre, niente stalli, non esiste nessun parcheggio: eppure - proprio per questo - ha già preso forma, in modo creativo ma non casuale, un’ammucchiata di decine di automobili.

Predarossa, Val Masino, 2 novembre 2024, ore 9.

Date all’italiano un piazzale libero, per quanto impervio, e tanto la Panda quanto il Raptor Ranger sapranno tradurlo in una serie non banale di spine di pesce.
Esaurito la spazio fisico del grande spiazzo, le automobili vengono parcheggiate a bordo strada, via via a scendere, organizzando una fila che al suo massimo raggiungerà dimensioni impronosticabili.
Gli escursionisti scendono dalle automobili.
Per alcuni sembra tutto normale.
Altri si guardano intorno imbarazzati: per via della quantità di altre persone, per via della folla che preme e reclama il diritto alla giornata di relax sportivo in luogo selvaggio e incontaminato, per via dell’imbarazzo-specchio di farne parte, di essere nient’altro che una particella – una particella critica, certo! – di questa stessa folla.

Si comincia a camminare nella grande brughiera pianeggiante che porta alle montagne.
A prima vista sembra che abbiano aperto delle gabbie; o che sia una di quelle gite CAI, sicuramente a norma, con ottocento iscritti.
Una voce dice “Vabè dài, la salita farà selezione naturale”.
"Snì", per usare un'espressione che in giornata sentirò più volte: la salita sarà, in effetti, una coda molto lunga di persone che, salendo, camminano molto vicine l’una all’altra.
Persone di vario tipo: ci sono la liceale milanese in Superga e latex nero, la pensionata trentina in scarponi di titanio e camicione quadrettato di flanella (sicuramente un omaggio agli Screaming Trees), il trentenne equipaggiato come per il Passatore che dopo cento metri di dislivello scoppia e torna indietro.

Due novembre, duemila metri di quota, cielo azzurro intenso, nessuna nuvola, ventisei gradi alle undici. L’alta pressione ha regalato un filotto di giorni perfetti, tutti uguali.
Una bellissima giornata di sole è una bellissima giornata di sole, considerarla inquietante sarebbe un paradosso: forse la vera sfida della crisi climatica è rivolta alla sfera cognitiva.
Siamo sopra i duemila, anche il larice abbandona il campo, restano pietraie e praterie scoperte.

La spianata di Predarossa vista dalla salita che porta al rifugio Ponti

L’ultima traccia umana prima della sella dei Corni Bruciati è il rifugio Ponti (2559).
È chiuso, ma molti lo hanno ugualmente scelto come traguardo.
I massi su cui decine di torsi nudi prendono il sole durante la siesta non sono così diversi dagli scogli di un litorale frastagliato.
“Con sto cambiamento climatico ormai non ha più senso fare l’assicurazione cristalli”, si sente dire da un gruppetto di monzesi, ed è un’informazione di cui faremo tesoro.
Se c’è una cosa che, anche a 2600 metri, l’essere umano non prende in considerazione, è tacere. La fatica, la salita, il sole, i cerchi concentrici dei rapaci sopra le creste, l’aria rarefatta, la vista impressionante: persino qui, il silenzio è l'unico paradosso cognitivo capace di battere anche la stringa binaria "sole / inquietudine".

“Figa, prima sembrava di essere in via Farinetti!”
“Hai visto Pecco Bagnaia, che scatto?”
“Certo che sti giudici…”
Una delle frasi che ho più sentito da piccolo, e in contesti davvero variegati, è “Non siamo mica al mercato”.
E invece sì: sembra di essere proprio, sempre, al mercato (globale).


Si comincia a scendere.
Dalla parte rocciosa della montagna sgorgano centinaia di rigagnoli di acqua gelida, purissima.
Ritagliando il quadro visivo ai soli meandri del torrente che attraversa la brughiera giù a valle, la scintillante striscia curva ricorda il fiume Yukon visto dalle foto aeree.
Yukon lombardo, sei molto bello, sicuro che le tue decine di anse in questa piccola pianura siano tutte necessarie? Tradiscono un desiderio di restare qui.
Ho sognato un milanese che, anziché importare d’ufficio l’ennesima parola straniera cool, pesca nel dizionario della fantasia nostrana e dice “Fogliaggio”.
“Ci sono dei colori bellissimi, è la magia del Fogliaggio”.


Ricomincia il bosco di larici.
Recuperiamo la macchina.
Notiamo scendendo che il parcheggio creativo a bordo strada si è allungato per circa sei chilometri.
Pensa se non fosse stato obbligatorio “il pass”.
Perdiamo rapidamente quota.
Il lariceto ritorna bosco misto.
I luoghi del futuro saranno forse quelli dove non arriva Instagram.
La nuova frontiera dell'esclusivo saranno forse i posti molto brutti.
O forse saranno la nuova frontiera del silenzio: ma quando anche il silenzio diventerà cool?
Ci dispiace abbandonare questo luogo selvaggio: ancora una trentina di tornanti, e sarà ufficiale il rientro nella civiltà.

Brughiera di Predarossa, Val Màsino





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