L’ibis eremita

Mi trovo a Orbetello per accompagnare un gruppo di cicloturisti alla scoperta del monte Argentario, della laguna e di alcune zone della bassa Maremma. Al tramonto, passeggio sul marciapiede appena prima del centro storico. Sulla rientranza di una torretta rossa circondata dai pini domestici, tra il circolo bocciofilo e l’area dell’ex idroscalo, noto quello che mi sembra un grande nido, fatto con arbusti ricurvi e grossi rami. Fermo il gruppo, e osservo. Poco dopo, dagli arbusti, esce una strana testa: dalla sommità calva - con la pelle rugosa, color carminio - spuntano lunghi ciuffi neri e ritti (qualcosa a metà tra un comune anziano glabro e Sid Vicious nel video di My way) e, sul davanti, un becco lunghissimo e ricurvo.

“Ma cos’è quell’uccellaccio?”, si sorprende una cliente. D’accordo, lo ammetto: non combacia precisamente con il concetto di bellezza dell’età ellenistica, né con i canoni estetici delle specie più eleganti e comunemente apprezzate. Abituati come siamo alla trasformazione ideale delle bestie in morbidi peluches (“Che tenero…!”), e ai diminutivi complimentosi (dove il regno animale diventa un mondo di gattini, di cagnolini, di cavallini, di leoncini, leopardini, coccodrillini e, chissà, una volta, di triceratopini e tirannosaurini), è chiaro che esseri come, per dire, la iena, il marabù africano, l’istrice e quasi tutti i roditori, o qualsiasi tipo di serpente e ragno, sono esclusi dalla buona società.

L’uccellaccio di cui sopra - quasi certamente in attesa del proprio compagno di vita, e attento alla cura della propria dimora come lo sarebbe il responsabile pulizie della casa di un archistar - è un ibis eremita (geronticus eremita). Benché sia un uccello molto raro, inoffensivo, e non si nutra di carogne, fa pienamente parte di questo club dei reietti - del quale sono portato automaticamente a prendere le difese.

Una coppia di Ibis eremita (Geronticus eremita)


Quella dell’ibis eremita è una bella storia: era presente nell’Europa centrale già dall’antichità, e minacciato dalla caccia già qualche secolo fa. I documenti attestano che nel 1504 (lo stesso anno in cui a Firenze, davanti a Palazzo Vecchio, veniva scoperto ed esposto, nell’ammirazione generale, il David di Michelangelo) l’arcivescovo di Salisburgo ne proibì l’uccisione (con salvacondotto per i nobili). A causa della continua pressione antropica, sempre basata sulla caccia e sulla progressiva riduzione dell’habitat, l’ibis scomparve comunque non più di un secolo dopo.

Dopo che, per secoli, l’ibis è stato invisibile e mitizzato come una specie di unicorno, da appena vent’anni il progetto europeo LIFE (Northern Bald Ibis and Waldrappteam Conservation e Research) sta tentando di reintrodurlo in natura, e i primi successi riguardano anche la laguna di Orbetello. “Si tratta di un unicum nella storia delle reintroduzioni di animali in natura – ha spiegato la biologa Laura Stefani, referente italiana del progetto LIFE – perché nel nostro caso siamo partiti da zero, dato che questa specie, in Europa, si era estinta. Dagli inizi, vent’anni fa, quando i primi esemplari sono stati prelevati dagli zoo e allevati, ora abbiamo generazioni di ibis eremita completamente selvatici“. C’è dell’altro. “Stiamo affinando conoscenze e tecniche all’avanguardia – continua Stefani – che serviranno, in futuro, per altre specie. Coi ritmi devastanti di estinzione delle specie a cui stiamo assistendo in questi anni, il nostro lavoro di conservazione si rivelerà fondamentale”.

L’ibis eremita, che a lungo è sopravvissuto soltanto nelle regioni più inaccessibili del Marocco, dell’Algeria, del Sahara Occidentale e dell’Arabia Saudita, resta comunque a rischio estinzione, soprattutto a causa (ancora) di caccia e bracconaggio. L’ultimo caso ha riguardato Puck, un maschio nato in natura nel 2021. Come i suoi simili aveva lasciato il sito di nidificazione di Kuchl, nel Salisburghese, per raggiungere l’Oasi Wwf Laguna di Orbetello. Durante una sosta sul tetto di una fattoria sugli Appennini è stato colpito e ucciso, poi portato via in auto e abbandonato. Chi ha sparato non sapeva, evidentemente, che circa il 90% degli ibis eremita è dotato di Gps (una scatola di pochi grammi posta sulla schiena dell’animale), e i carabinieri forestali di Forlì-Cesena hanno potuto rintracciare il colpevole, membro di una nota associazione venatoria. Proprio quest’anno la Fidc (Federazione italiana della caccia) ha diffuso un comunicato per dire che l’associazione – e i suoi soci – sono dalla parte della conservazione degli ibis.

Ma chi era, dunque, l’ibis che ho avvistato sulla torretta all’ingresso di Orbetello? Secondo il progetto LIFE, le coppie che un anno fa stavano nidificando a Orbetello erano composte da esemplari denominati Tiffi, Waldemar, Sixtus e Brutus; e a me piace pensare di aver visto Tiffi - in attesa di Waldemar. Lunga vita!

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La Pitigliano – Orbetello: viaggio a piedi dalla Piccola Gerusalemme alla Feniglia