Anni all’isola d’Elba

Da diversi anni, ormai, lavoro come guida all’isola d’Elba, e non capisco ancora cosa ho fatto di bello - magari in una vita precedente sotto forma di coleottero, roverella o calcare cavernoso - per meritare questa fortuna.

Ho avuto tempo per imparare la storia della bandiera con le api, della produzione di Nesos, il vino lasciato nelle anfore sott’acqua, del rimboschimento voluto per primo dal signor Bonaparte. Ho scoperto che gli elbani, se parlano ancora dialetto, per dire "andrebbero" dicono "anderèbbono", e il pettirosso lo chiamano "regùzzulu".
Ho scoperto che "Pomonte" è il nome di un piccolo paese, ma l'ho sempre pensato come il nome di un amico immaginario (un grande amico).
Che in un’ipotetica gara eliminatoria per stabilire il nome più buffo tra le frazioni dell'isola vincerebbe probabilmente a mani basse "Nisportino".

Capo Stella e monte Calamita (con Capoliveri) visti da Monte Tambone

Una volta, in località Ginestra, località che prende il nome dalla locale quantità - in effetti davvero notevole - di piante di ginestra, ho riempito la borraccia alla fonte a cui si abbeverò Fausto Coppi durante una tappa del Giro, e per un attimo bellissimo mi sono sentito come lui: ossuto.

Una volta, dopo il lavoro, ho corso sulla salita del Monumento e fino alla vetta di monte Tambone, e arrivato in cima ho alzato gli indici al cielo come un calciatore brasiliano dopo che ha segnato, o anche prima di cominciare a giocare, o dopo la fine della partita, loro lo fanno sempre, sono molto credenti, anzi adesso lo fanno tutti, anche se non credono, io invece ero innamorato di una ragazza, e a volte, se ci pensavo, mi capitava di esultare a caso con gli indici verso il cielo come un fuoriclasse sudamericano

 Una volta, all’Elba, vidi un cliente trattare male un cameriere senza alcun motivo, e pensai che forse, al mondo, solo i coloni israeliani mi stavano più sui coglioni di chi tratta male i camerieri. Era il 2018: mi sento di confermare.

Una volta, all’Elba, la signora che gestiva il bar di un distributore di benzina aveva scritto grande a stampatello sulla cassa NON SI CAMBIANO SOLDI PER IL DISTRIBUTORE - un po’ come si scrive sulla cassa BANCOMAT PURTROPPO MOMENTANEAMENTE FUORI SERVIZIO A CAUSA DI UN GUASTO IRREPARABILE DI CUI SIAMO TREMENDAMENTE DISPIACIUTI - e io, che dovevo per forza far benzina, detti alla signora un foglio da cinquanta euro, e lei ricambiò con il sorriso acido più intenso che abbia mai visto almeno in quella settimana.

Una volta, all’Elba, dopo aver pranzato con un polpo e patate non indimenticabile, ho camminato per 9 km sopra Cavo, verso il Mausoleo Tonietti (dal nome dei proprietari ultradecennali delle concessioni minerarie), e poi a Cala Mandriola ho scoperto che quattro giorni di libeccio avevano portato molte schifezze tra plastiche, vetri e schiume, e dopo, tornando indietro, ho scoperto che dai pick up di alcuni muratori che lavoravano a una villa della zona erano caduti sul sentiero una decina di sacchi di malta, e li avevano lasciati lì.

Una volta, all’Elba, un cliente brasiliano mi ha detto che lui non credeva più nel suo paese, che i giovani non sanno neanche cos’è la bossanova, che il popolo è ignorantissimo, che servirebbe ripartire da una scuola primaria che però non c’è, che Lula aveva fatto una riforma universitaria solo a fini elettorali, separando le risorse, metà per neri metà per bianchi, ma solo lo 0,1 % dei neri era andato all’Università e quindi era stata percepita come un’ingiustizia, che Lula aveva la possibilità di cambiare le cose nel primo mandato e non lo aveva fatto, e lui ci aveva creduto, però adesso era venuto il momento di cambiare.

Una volta sul monte Capanne ho mangiato appena sotto il crinale, vicino a macchie di lavanda montana e a un ragno rosso e nero, all’apparenza raro, che camminava su un piccolo tronco caduto, accanto a noi pranzava anche un gruppo di livornesi, parlavano credo delle varie possibilità di vita oltre la morte e una ragazza disse “Sì, come ner Valhalla, dé”.

La prima volta che, percorrendo la GTE a piedi, ho visto il Santuario della Madonna di Monserrato, non è stato banale.

Santuario della Madonna di Monserrato

Vedemmo animali selvatici cornuti, qualcuno disse “Ecco i mufloni!”, ma erano capre. Intorno c’erano gelsi enormi, eucalipti, pini monumentali, albicocchi e aranceti che sembravano usciti da ville siciliane abbandonate.

Una volta, all’Elba, sono stato accolto da un albergatore che sembrava un pesce bruciato dal sole ma coi capelli ricci pieni di gel.
Una volta, a Porto Azzurro, ho cenato in un ristorante che esponeva sulle pareti un osso di pesce gigante: era la pinna caudale di uno squalo volpe.
Una volta, a Procchio, dopo aver corso, ho bevuto una birra in un immondo bar sulla spiaggia che trasmetteva la versione dance per bambini di Ti amo e altri successi di Umberto Tozzi.

Dalle parti di Rio nell’Elba ho osservato per la prima volta i frutti di un eucalipto. Profumavano di mentolo, avevano una geometria eccezionale. Qualche ora dopo, ho assaggiato per la prima volta una specie di mandarino orientale, il Kumquat, ma avrei avuto più voglia di mangiare l’eucalipto.
A Rio nell’Elba, a metà pomeriggio, tre vecchi del paese sedevano sulla panchina con migliore visuale della piazza. Un ambulante africano con delle mani lunghissime gli ronzava intorno. Uno dei vecchi ci scherzava, ma sembrava anche un po’ infastidito. Il nero però sorrideva e continuava a parlare e ronzare, e a un certo punto mi disse “Loro sono la memoria storica! Quando non ci saranno più sarà come bruciare una biblioteca!”

Una volta, all’isola d’Elba, la civetta di un giornale riportava "Rio in festa" e ho sognato il Brasile, ma si trattava invece di Rio nell'Elba.

Rio nell’Elba

Una volta, non lontano da Rio nell’Elba, ho sentito un tassista fare una classica tirata da tassista, diceva che gli piacevano i Corsi, loro sì che sanno farsi rispettare, diceva, hanno le loro regole e se non le rispetti ti fanno saltare in aria, uno di qui, impresario edile, era andato in Corsica, aveva iniziato a costruire come si fa noi, alla cialtrona, ma c’ha rimesso soldi e tutto, alla fine è tornato qui, i Corsi si fanno rispettare, e io sono anche d’accordo con loro, ecco.
Quella volta, rientrando dall’Elba verso Piombino, c’era sul traghetto Max Gazzè. Famoso, sì, ma non al punto da non poter prendere il traghetto. Un cantante pop e intelligente, con compagna e bambini, salutato dalle persone, senza troppo rumore, senza invasioni o idolatria, si scambiavano battute, lui sembrava gratificato ma subito in grado di tornare alla sua pace privata, tutte queste cose mi trasmisero leggerezza.

Una volta, all’Elba, mi sono fermato a Cavo con il mio gruppo di cicloturisti e una cliente milanese mi ha detto, con un risentimento quasi risorgimentale: “Dovevamo fermarci a Rio Marina, perché qua fa veramente ca-ga-re”.

 All’Elba ho conosciuto una persona che aveva, come frasi-tipo, queste:
"Non è che sono razzista, sono contro questo buonismo"
"Ma tanto noi italiani siamo così..." (poteva sembrare una rassegnata autocritica, e invece: autoassoluzione)
"Spesso non è razzismo, è solo buon senso"
"Come dico sempre io..."
"Io, per esempio..."
"Come diciamo noi in Toscana..."
"Non voglio dire che il Covid non esiste, però..."

Una volta, a Capoliveri, ho letto una frase di Fabio Genovesi: “Quasi mai si combatte davvero il male. Si combatte per non essere più chi lo subisce, e diventare chi lo fa”.

Una volta, seduto a cena a Lacona, mangiando una paella che il cuoco, anziché Paèglia, pronunciava paiella, una persona mi disse “In un libro ho letto che la terra fa parte di una galassia che è un infinitesimo rispetto a tutto il resto… Perché poi ci sono altri milioni di galassie”. Era serissimo. Io, dopo una pausa, dissi: “Ah, ecco dove votano adesso gli astenuti di sinistra”. Non rise, però rise un’altra persona, a cui oggi dedico indici al cielo al termine di una salita

 

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Una cronaca di fiume